In reportage/ stories

Le vedove di Nazaré

Esiste un detto da queste parti: se vuoi imparare a pregare, allora recati al mare.

Nazarè, 2008. Non so nemmeno come io sia arrivato fin qui. Due settimane fa ho accettato l’invito di un fotografo portoghese ed ora mi lascio condurre per la sua terra a far fotografie. Il cielo è limpido e l’oceano appare tranquillo, ma quando raggiungo la riva mi accorgo che l’acqua si gonfia e percuote la riva violentemente. Fortunatamente oggi i pescatori possono utilizzare un porto sicuro per l’approdo. Ma come sarà andata, il giorno della famosa tragedia?

Inverno, mezzo secolo fa. Gli uomini sono in mare a pescare. Il tempo non prometteva bene e prima di salpare avevano ridipinto sulle barche la stella e l’occhio di Dio.

Le mogli avevano tolto i vestiti dai colori sgargianti per entrare nell’abito nero. Qui il nero si porta quando tuo marito è in mare, o se resti vedova. Mare e lutti, qui, sono connessi.

Il vento si è alzato e le donne sono corse in spiaggia per seguire il rientro dei propri cari. Su questa riva le onde sono in grado di rovesciare le piccole imbarcazioni di legno e tutto quello che affonda viene risucchiato dalle forti correnti e difficilmente riemerge.

Le donne gridano, pregano, piangono, si strappano i capelli. Fa tutto parte del rituale ma presto il rito lascia spazio a preghiere vere e disperate. Pochi uomini riescono a salvarsi, gli altri scompaiono a pochi metri dalla riva, sotto gli occhi delle giovani mogli e grida di preghiere non ascoltate.

Accompagnato dall’eco del mare percorro le strade del villaggio, mentre il forte odore di pesce inizia a diventarmi indifferente ed i miei occhi abbandonano i colori vivaci delle tradizionali gonne a 7 veli per posarsi e restare sulle protagoniste di questa tragedia.

Le vedove di Nazaré non hanno più tolto il nero.
Camminano con piccoli banchi e carretti, si fermano di fronte alla spiaggia e vendono pesce, dolci di frutta secca e tessuti ricamati. Mangiano da una gavetta il pranzo preparato la sera prima. Silenziose come la marea arrivano al mattino e si allontanano all’imbrunire, continuando a vivere legate a quel mare che ironicamente le mantiene in vita.

Occhi, volti, espressioni sono stati modellati da questo oceano che continua a percuotere la terra. A volte duri e spigolosi, come la roccia che spezza i frangenti, a volte dolci e piacevoli, come i ciottoli modellati dalle correnti.

Timide o ruvide ombre che indossano monili con l’immagine del giovane marito perduto e continuano a pregare, magari di poterlo rincontrare un giorno in un altro mare…

  • luana
    26 Marzo 2010 at 00:01

    mi hai lasciato senza parole perchè le foto sono bellissime ma aggiungendo queste frasi trasporti la gente in un mondo nuovo sconosciuto dove nascono vite nuove e sentimenti profondi….