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flaviocarnevale

In portraits

A new breath

Mia figlia Chiara, il suo primo giorno in questo mondo. Non riesco a descrivere nessuna emozione, al momento. Posso solo dire che a volte mi sorprendo a fissarla, senza pensieri, senza notare lo scorrere del tempo. Sarebbe questa la felicità? Credo proprio di si…

My daughter Chiara, her first day on this Earth. I cannot describe any feeling at this moment… I can only say that sometimes I discover myself just looking at her, with no thoughts, not sensing the time passing. Is this what others call happiness?. Yes, I suppose it is.

In reportage/ stories

Le vedove di Nazaré

Esiste un detto da queste parti: se vuoi imparare a pregare, allora recati al mare.

Nazarè, 2008. Non so nemmeno come io sia arrivato fin qui. Due settimane fa ho accettato l’invito di un fotografo portoghese ed ora mi lascio condurre per la sua terra a far fotografie. Il cielo è limpido e l’oceano appare tranquillo, ma quando raggiungo la riva mi accorgo che l’acqua si gonfia e percuote la riva violentemente. Fortunatamente oggi i pescatori possono utilizzare un porto sicuro per l’approdo. Ma come sarà andata, il giorno della famosa tragedia?

Inverno, mezzo secolo fa. Gli uomini sono in mare a pescare. Il tempo non prometteva bene e prima di salpare avevano ridipinto sulle barche la stella e l’occhio di Dio.

Le mogli avevano tolto i vestiti dai colori sgargianti per entrare nell’abito nero. Qui il nero si porta quando tuo marito è in mare, o se resti vedova. Mare e lutti, qui, sono connessi.

Il vento si è alzato e le donne sono corse in spiaggia per seguire il rientro dei propri cari. Su questa riva le onde sono in grado di rovesciare le piccole imbarcazioni di legno e tutto quello che affonda viene risucchiato dalle forti correnti e difficilmente riemerge.

Le donne gridano, pregano, piangono, si strappano i capelli. Fa tutto parte del rituale ma presto il rito lascia spazio a preghiere vere e disperate. Pochi uomini riescono a salvarsi, gli altri scompaiono a pochi metri dalla riva, sotto gli occhi delle giovani mogli e grida di preghiere non ascoltate.

Accompagnato dall’eco del mare percorro le strade del villaggio, mentre il forte odore di pesce inizia a diventarmi indifferente ed i miei occhi abbandonano i colori vivaci delle tradizionali gonne a 7 veli per posarsi e restare sulle protagoniste di questa tragedia.

Le vedove di Nazaré non hanno più tolto il nero.
Camminano con piccoli banchi e carretti, si fermano di fronte alla spiaggia e vendono pesce, dolci di frutta secca e tessuti ricamati. Mangiano da una gavetta il pranzo preparato la sera prima. Silenziose come la marea arrivano al mattino e si allontanano all’imbrunire, continuando a vivere legate a quel mare che ironicamente le mantiene in vita.

Occhi, volti, espressioni sono stati modellati da questo oceano che continua a percuotere la terra. A volte duri e spigolosi, come la roccia che spezza i frangenti, a volte dolci e piacevoli, come i ciottoli modellati dalle correnti.

Timide o ruvide ombre che indossano monili con l’immagine del giovane marito perduto e continuano a pregare, magari di poterlo rincontrare un giorno in un altro mare…

In stories

Al posto mio

E’ da tre giorni ormai che sogno di te, ricordando al risveglio cose che credevo dimenticate.
Stamattina ho rivissuto il primo giorno che ci siamo incontrati, in seconda elementare, quando mi cambiarono sezione. Avevo quasi rimosso ma ancora ricordo: piangevo come una femmina. Anche tu eri stato trasferito lo stesso giorno ma eri tranquillo. Mi hai guardato e hai tolto la cartella dalla sedia vuota accanto a te. Più forte di me, o forse più abituato a stare solo.
Da tre giorni ormai varie immagini riaffiorano dal nulla, ricordi lontani che si riaccendono di colpo come vecchie diapositive cadute alla rinfusa sul tavolo luminoso. Tanti, troppi ricordi, crescendo insieme inseparabili. Scuola, compiti, giochi, compleanni. Ho ritrovato una vecchia foto, sopravvissuta alla censura che feci anni fa contro le foto da ciccione. Ridevi, nel tuo fare timido e discreto, soffiando dal naso e piegandoti in avanti come a volerti trattenere. Non hai mai cambiato modo di ridere…
Chissà se i tuoi hanno conservato la tua piccola bicicletta scassata. Un solo pedale, una sola rotella per non cadere. Ricordo che passavi a chiamarmi e ci stavamo pomeriggi interi girando in tondo nel tuo terrazzo. Ho imparato lì sopra a stare in equilibrio.
Cosa avvenne poi? Passano gli anni. Si cambiano scuole, quartieri, amicizie. Cambiano gli equilibri. Si cresce. Hai continuato a cercarmi, alla fine citofonando direttamente a casa per eludere le mie solite scuse, quando ero tutto preso dalle novità, gli amici, le ragazze, la scuola. Non ti consideravo più amico? Non so rispondere… forse roba vecchia, da lasciare indietro con i cartoni animati e gli album di figurine. Al posto tuo avrei finito per odiarmi anziché continuare ad insistere ben oltre la normale pazienza. E poi stavolta, come se avessi premeditato il tutto, sei andato a segno. Perché?
Sono stato costretto a riflettere, ricordare, riconsiderare tutto. Dovevi poter vivere la tua vita e lasciarti ignorare da me. Vorrei essere in collera, ma eccomi su questo treno. Ritardi permettendo in un paio d’ore raggiungerò il tuo paese e sotto lo sguardo dei curiosi ne attraverserò le vie. Comprerò dei fiori, perché è così che si fa.
Verrò a sedermi accanto a te. Poggerò questa foto vicino a quella che altri avranno già scelto per te… e piangerò. Per te, per me forse… cosa importa adesso.
Tanto lo so… anche tu stavolta avresti pianto, al posto mio.

prova

Al mio amico Stefano